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Le transizioni biografiche vissute da richiedenti asilo e rifugiati si protraggono in modo indefinito nel tempo. Su di esse insistono le scelte e le attribuzioni di senso operate dai diretti protagonisti, ma soprattutto le decisioni operate dalle istituzioni dei paesi ospitanti, in termini di definizione delle procedure di accesso e di riconoscimento dello status di rifugiato, oltre che di organizzazione del sistema di accoglienza. L'Europa ha scelto ormai da molti anni di vivere in una pericolosa contraddizione: da un lato, i migranti visti come necessari per sostenere i sistemi occupazionali, previdenziali, scolastici, di cura; dall'altro, le retoriche populiste sul bisogno di proteggersi dalla presunta invasione straniera, richiamando una inesistente monolitica "cultura". Da qui emergono tentativi sempre più articolati per declinare le caratteristiche dei migranti "buoni" e quelle dei migranti "inutili", o addirittura "nocivi" per i nostri sistemi socio-economici. Le sofferenze dei rifugiati sono, dunque, destinate a proseguire anche dopo l'approdo in Italia, e a volte ad aumentare, nell'ambito di una difficile relazione con un sistema di protezione ampiamente deficitario, in assenza di solide reti sociali cui appoggiarsi e alle prese con progetti perlopiù assistenzialistici anziché sostenitori dell'autonomia.